1. LE INFRADITO
Le infradito sono arrivate in città, come bandiere di molti desideri contemporanei: disinvoltura, al diavolo l'etichetta, faccio quello che mi pare. I più noti dandies hanno già perpetrato qualche audacia pedestre. Pantofole col tight (Briatore), scarpe ginniche con lo smoking (Mario D'Urso). Lapo Elkann (forse) andrà al ballo della Croce Rossa in frac e infradito. Modello Swarovski, però. Ciabatte easy chiamate anche Sayonara, per via di una (presunta) origine giapponese. Adesso sono diffuse quelle brasiliane. Le chiameremo Adeus? Attenzione: nelle sconnesse vie urbane, è facile inciampare, con le infradito. Ma che importa? Quel che conta è l'emblema della libertà: infraMito, insomma.
Giuliano Zincone
2, ANGELINA JOLIE
Angelina Jolie, una delle rare brune di Hollywood, è una semidea dal duplice volto. In lei infatti sono compresenti e si rinforzano reciprocamente due figure mitiche: la donna fatale dissoluta e la madre benefica. In questo dualismo si rispecchiano, dilatate fino all'inverosimile, le contraddizioni della donna emancipata, determinata a non rinunciare a nessuna delle due parti. In una società che non sceglie, ma aggiunge, ognuna delle due esalta per contrasto l'altra. La Angelina promiscua, bisessuale, sospetta incestuosa, con la sua tenebrosa e sensuale bellezza è l'irrinunciabile "negativo" della Jolie ambasciatrice delle Nazioni Unite, sempre pronta ad adottare orfani.
Giuseppe Scaraffia
3. LA MUNNEZZA
Ecco un mito che non è studiato a tavolino da un pubblicitario, come
i miti d'oggi, ma che – come i poemi omerici – nasce dallo spirito di un popolo, il nostro, che ha scelto Napoli per farne una gigantesca discarica. Le immagini dei mucchi di spazzatura che cingono la città come bastioni puzzolenti fanno il giro del mondo a costo zero, diventano icone che influiscono sull'esito delle campagne elettorali. E intanto, come in una allegoria barocca, le montagne di immondizia guardano tutti gli altri miti di consumo con un sorriso egizio: «ero quello che sei, sarai quello che sono».
Maurizio Ferraris
4. ANTI-AGE
La parola ha qualcosa di mitico fin dal suono: potrebbe essere un antico santuario, oppure una divinità preistorica. Del resto sulle riviste femminili – ma non solo – è ubiqua come una divinità: abita in abbronzanti, shampoo, menù, fondotinta, detergenti, ricostituenti... È anti-age, remake linguistico del mito dell'eterna giovinezza. La associano per contrasto a degenerazione, per vicinanza a riparazione, termine in genere economico o morale. Chi non è anti-age è un po' immorale, e certo antieconomico. L'inglese "age" corrisponde al nostro "età": anni ma anche epoca. Ci sono state età dell'oro o età dell'ansia: la nostra è l'anti-età.
Elisabetta Rasy
5. INTELLETTUALE DA PALCOSCENICO
Un nuovo tipo di intellettuale si aggira per il Paese. Non più occhialuto, vestiti consunti e leopardianamente un po' gobbo da tanto chinarsi sui libri. Questo è bello. Curato e ricercato. Anche filosofo. Stile Michel Onfray con i girocollo neri, risposta millenaria al Bernard-Henri Lévy di bianco vestito. Rappresenta una categoria estetica. Vezzo di presentatori e talk-show, interviene e sa tutto. Invade festival e piazze: dove c'è un palco non manca mai. Parla profondo: usa paroloni stranieri e non si capisce quasi mai cosa voglia dire. Tant'è. Offre una visione del mondo. Un mondo, ahinoi, che spesso è solo suo.
Marco Filoni
6. GEORGE CLOONEY
The last movie star. L'ultimo divo: così «Time» a proposito di George Timothy Clooney. Divo, divinitas lontana e ideale, è George, bello come Clark, Cary, Gregory. Ma divo anche senza bellezza, come in Syriana (unico Oscar tra tante nomination, quasi una beffa). George è ricco, ma si preoccupa del Darfur. È fine, ma ha vissuto per anni con un maialino. È ambientalista, anche se viaggia su un aereo privato. Ama le donne, e per non dare dispiaceri non ne sposa nessuna. È tutto quello che non si può non essere oggi, ed è anche un po' oltre. È più bello.
Maria Bettetini
7. CALL CENTER
Pronto?». «Digiti il tasto 5 e cancelletto». «Pronto, scusi, avrei un problema». «Anch'io». «Chi gliel'ha detto di chiamarmi». «Il computer. Mi ha detto di premere il tasto 5 e cancelletto». «Le passo un collega». «Pronto?». «Mi dispiace. Ma mi hanno appena assunto». «Posso parlare con il principale?». «Non esiste». «Non c'è un responsabile?». «No. C'è solo il Call Center». «E lei?». «Sono il solito precario, una figura sociale emergente». «Come si chiama?». «Sono il numero 28D». «Ma non ce l'ha un nome?». «È la privacy». «E allora?». «Richiami il Call Center». «Scusi?». «Speriamo di esservi stati utili. Arrivederci».
CONTINUA ...»